Il tempo con Gabriel...

Il tempo con Gabriel è così diverso da quello che trascorro forzatamente con mio marito. Con lui posso essere sincera e dirgli che mi manca Manhattan, un posto che una volta mi sembrava il più grande del mondo, ma che ora è lontano come una stella.
"Sai, in città c'erano diversi quartieri: uno mi pare si chiamasse Brooklyn, un altro Queens, e poi altri ancora. Ma dopo che sono stati aggiunti fari e nuovi porti, si è deciso di rinominare tutto Manhattan, e di etichettare i vari quartieri secondo la loro funzione. Nel mio ci sono fabbriche e magazzini, in quello a ovest i pescatori, in quello a est le case."
"Perchè?" mi chiede Gabriel, dando un morso a uno dei toast della mia colazione. E' seduto sul divano accanto alla finestra, e la luce del mattino illumina l'azzurro dei suoi occhi.
"Non lo so". Mi metto a pancia in giù e appoggio il mento sulle braccia incrociate. "Forse così sono più facili da ricordare: a parte le zone residenziali, sono tutti pieni di industrie. Forse al presidente non andava di impararne i nomi".
"Sembra leggermente angosciante", dice lui.
"Un po'" ammetto, "Ma i palazzi sono antichi, qualcuno anche di secoli. Quand'ero piccola, facevo finta di uscire dalla porta e tuffarmi nel passato. Facevo finta....". Mi manca la voce. Passo un dito sulla cucitura del copriletto.
"Cosa?", mi domanda Gabriel, sporgendosi verso di me.
"Prima d'ora non l'ho mai raccontato a nessuno", realizzo mentre lo sto dicendo. "Ma facevo finta di stare nel XXI secolo, e vedevo persone di tutte le età, e sapevo che sarei cresciuta e sarei diventata come loro". Faccio una lunga pausa, durante la quale non riesco ad alzare gli occhi dalla cucitura: guardarlo negli occhi è diventato improvvisamente difficile. Ma sento che lui mi fissa, e qualche secondo dopo si viene a sedere sul bordo del letto. Il materasso si affossa un po' sotto il suo peso.
"Lascia stare", dico, cercando di ridere. "E' stupido".
"No, non lo è".
Le sue dita seguono le mie sul copriletto tracciando delle linee rette in su e in giù, ma senza mai toccarle. Sono invasa da un'ondata di calore e non posso fare a meno di sorridere.
So che non diventerò mai adulta, ed è tanto tempo che ho smesso di fare il gioco che gli ho raccontato. Non avrei mai potuto condividere quella fantasia con i miei genitori: li avrei resi tristi. Ma ora che guardo la mano di Gabriel muoversi insieme alla mia, come se stessimo facendo un gioco con delle regole ben precise, mi lascio prendere di nuovo da quel sogno. Un giorno uscirò da questa tenuta, e ci sarà il mondo: un mondo prosperoso, sano, e un sentiero bellissimo che mi porterà verso il resto della mia lunga vita.

"Il Giardino degli Eterni" di Lauren DeStefano

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