1ª Tappa Blogtour "La Rosa del Califfo" di Renée Ahdieh - Presentazione blogtour e incipit del romanzo


Buongiorno Mentalisti e buon martedì.
Inizia oggi il blogtour dedicato al romanzo "La Rosa del Califfo" di Renée Ahdieh, seguito de "La Moglie del Califfo". Questo è il secondo (ed ultimo) capitolo della duologia The Wrath & the Dawn, una meravigliosa rivisitazione de "Le Mille e una Notte".

In questa prima tappa leggeremo insieme l'incipit del romanzo. Qui invece potete leggere la mia recensione del primo capito di questa storia.


IL ROMANZO

Titolo: La Rosa del Califfo
Autrice: Renée Ahdieh
Editore: Newton Compton
Serie: The Wrath & the Dawn #2
Genere: Retelling
Prezzo ebook: 2,99 €
Prezzo cartaceo: 10,00 €

Shahrzad è stata la moglie del califfo del Khorasan. Era giunta nella sua dimora con lo scopo di vendicare la morte di altre fanciulle andate in sposa a lui. Poi il suo piano è saltato, Khalid non è infatti il mostro che tutti credono. È un uomo tormentato dai sensi di colpa, vittima di una potente maledizione. Ora che è tornata dalla sua famiglia, Shahrzad dovrebbe essere felice, ma quando scopre che Tariq, suo amore d’infanzia, è alla guida di un esercito e sta per muovere guerra al califfo, la ragazza capisce che deve intervenire se vuol salvare ciò che ama. Per tentare di evitare una sciagura, spezzare quella maledizione, ricongiungersi a un uomo di cui ora scopre di essersi innamorata, Shahrzad farà appello ai suoi poteri magici, a lungo rimasti sopiti dentro di lei…

CALENDARIO BLOGTOUR

Ecco il calendario del blogtour (click per ingrandire)


Le prossime tappe saranno pubblicate sui blog:
Il Bello di Esser Letti | Starlight Book's | La Spacciatrice di Libri
Questione di Libri | La Rapunzel del Libri | Hook a Book | Dipendente dai Libri

LEGGIAMO INSIEME L'INCIPIT DEL ROMANZO

La ragazza aveva undici anni e tre quarti. Tre quarti molto importanti. Quella mattina si erano rivelati fondamentali quando suo padre le aveva lasciato il comando, assegnandole un compito cruciale. E così, con un sospiro esausto, si rimboccò le maniche lacere e caricò i detriti sulla carriola. «È pesantissimo», si lamentò il suo fratellino, tentando, dall’alto dei suoi otto anni, di sollevare un calcinaccio. Diede un colpo di tosse, investito dalla nuvola di fuliggine che si era sollevata dai resti carbonizzati della casa. «Aspetta, ti do una mano». La ragazza lasciò cadere il badile, che piombò a terra con un sonoro clang. «Non mi serve il tuo aiuto!». «Dobbiamo collaborare, altrimenti non riusciremo a rassettare tutto prima che baba torni a casa». Si piantò i pugni sui fianchi, fulminandolo con lo sguardo. «Guardati intorno!», esclamò lui spalancando le braccia. «È impossibile rassettare tutto». Gli occhi della ragazza si spostarono su ciò che il fratello le stava indicando. Le pareti di argilla della loro casa erano sventrate. Distrutte. Annerite. Il tetto era squarciato, aperto verso un cielo scialbo e desolato. Verso le rovine di quella che un tempo era una città gloriosa. Un pallido sole di mezzogiorno faceva capolino da dietro i tetti diroccati di Rey, gettando luci e ombre sulla pietra rovinata e il marmo bruciato. Qua e là, pile di macerie ancora fumanti erano il crudele ricordo di ciò che era avvenuto pochi giorni prima. La ragazza indurì lo sguardo e si avvicinò al fratellino. «Se non hai voglia di lavorare, aspettami fuori. Io continuo. Qualcuno deve pur farlo». Si chinò a raccogliere la pala. Il ragazzo diede un calcio a una pietra, che schizzò sulla terra battuta e si fermò urtando i piedi di uno sconosciuto incappucciato fermo davanti a ciò che restava dell’ingresso della loro casa. La ragazza strinse le dita intorno al manico del badile e sospinse il fratellino dietro di sé. «Posso aiutarvi…?». Le parole le si bloccarono in gola. Il rida’ nero dello sconosciuto era intarsiato di fili d’oro e d’argento. Il fodero della spada era finemente intagliato ed elegantemente tempestato di pietre preziose, e i suoi sandali erano ricavati da una pelle di vitello pregiatissima. Non poteva essere un avventuriero qualsiasi. La ragazza raddrizzò le spalle. «Posso aiutarvi, sahib?». L’uomo non rispose subito e la ragazza sollevò la vanga, l’espressione tesa e il cuore che le martellava nel petto. Lo straniero oltrepassò la cornice pericolante della porta. Si tolse il cappuccio e sollevò i palmi delle mani in segno di supplica. I suoi gesti erano prudenti, si muoveva con una sorta di grazia liquida. Giunse sotto un flebile raggio di luce e la ragazza scorse il suo viso per la prima volta. Era più giovane di quanto si fosse aspettata. Non doveva avere più di vent’anni. Il suo volto rispettava i canoni della bellezza, ma i suoi lineamenti erano troppo spigolosi, la sua espressione troppo severa. Il sole rivelò un particolare che contrastava con l’eleganza del suo abbigliamento: la pelle dei palmi era screpolata e arrossata, indice di attività manuali. I suoi occhi stanchi erano di un colore fulvo-dorato. La ragazza aveva già visto un paio d’occhi così, una volta. In un quadro che raffigurava un leone. «Non volevo spaventarvi», disse l’uomo gentilmente. I suoi occhi si mossero sui resti della loro piccola abitazione. «Potrei parlare con vostro padre?» «Non c’è, è andato a fare la fila per i materiali edili», rispose la ragazza, osservandolo con diffidenza. L’uomo annuì. «E vostra madre?» «È morta», rispose il fratellino, sbucando dietro le spalle della sorella. «Le è crollato il tetto addosso durante la tempesta. È morta il giorno dopo». Nella voce del bambino c’era una noncuranza che la ragazza non condivideva. Per suo fratello, quelle parole non avevano ancora assunto un significato concreto. Dopo il prezzo altissimo che avevano pagato a causa della terribile siccità dell’ultimo anno, la tempesta aveva imposto un ulteriore, tremendo tributo alla loro famiglia. E suo fratello doveva ancora metabolizzare quell’ultima perdita. Per un attimo, l’espressione dello straniero divenne ancora più arcigna. L’uomo distolse lo sguardo e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Un istante dopo tornò a puntare gli occhi su di loro, lo sguardo imperscrutabile nonostante le mani strette a pugno. «Avete una vanga in più?» «E perché mai voi dovreste aver bisogno di una vanga, ricco straniero?». Il bambino marciò davanti all’uomo, minaccioso. «Kamyar!». Sbalordita, la sorella lo afferrò per la logora parte posteriore del qamis. Lo straniero osservò il ragazzino per alcuni istanti prima di accovacciarsi. «Ti chiami Kamyar, giusto?», chiese con le labbra increspate da un sorriso quasi impercettibile. Il bambino non disse nulla, quasi incapace di reggere lo sguardo dell’altissimo straniero. «Vi… vi domando scusa, sahib», balbettò la giovane. «Ogni tanto fa l’insolente». «Non scusatevi. So apprezzare l’insolenza, se proviene dalla persona giusta». A quel punto il viso dello straniero si aprì in un vero sorriso, e la sua espressione si addolcì. «Sì», disse il bambino, intromettendosi nella conversazione, «io mi chiamo Kamyar. E voi?». L’uomo lo studiò per alcuni istanti. «Khalid». «Perché volete una vanga, Khalid?», ripeté il fratellino. «Vorrei aiutarvi a riparare la casa». «Perché?» «Perché collaborando si finisce più in fretta». Kamyar annuì lentamente, poi piegò la testa da un lato. «Ma questa non è casa vostra. Cosa ve ne importa?» «Rey è casa mia. Ed è anche casa vostra. Se io avessi bisogno di aiuto e tu fossi in grado di offrirmelo, me lo negheresti?» «No», rispose Kamyar senza alcuna esitazione. «Non ve lo negherei». «Allora siamo d’accordo». L’uomo si rialzò in piedi. «Mi presteresti la tua vanga, Kamyar?». I tre trascorsero il resto del pomeriggio a sgombrare il pavimento dai frammenti di legno carbonizzato e dai detriti fradici. La ragazza non svelò allo straniero il proprio nome e si rifiutò di chiamarlo in un modo diverso da “sahib”; Kamyar invece prese a trattarlo come se fossero due vecchi amici con un nemico in comune. Quando l’uomo offrì loro dell’acqua e alcune fette di pane lavash, la giovane chinò il capo e si sfiorò la fronte con le dita in segno di gratitudine. Un tenue rossore le tinse le guance quando quello straniero quasi bello ricambiò il gesto senza proferire parola. Ben presto, il giorno illividì nella notte e Kamyar si ritirò in un angolo, con il mento che gli ciondolava sul petto e le palpebre che si facevano sempre più pesanti. Lo straniero dispose l’ultimo pezzo di legno ancora utilizzabile vicino alla porta, scrollò la polvere dal rida’ e si rimise il cappuccio sulla testa. «Grazie», mormorò la giovane, sapendo bene che quello era il minimo che potesse dire. L’uomo voltò la testa, scoccandole un’occhiata, e infilò una mano nel mantello per estrarre un borsellino chiuso da un cordoncino di pelle. «Prendetelo. Ve ne prego». «No, sahib». La ragazza scosse la testa. «Non posso accettare i vostri soldi. Abbiamo già approfittato fin troppo della vostra generosità». «Non è molto. Ma vorrei che lo aveste voi». I suoi occhi, che avevano un’aria stanca già quando era arrivato, adesso parevano esausti. «Vi prego». In quel momento sul suo volto velato dalle ineffabili ombre della sera, coperto di granelli di polvere e cenere, c’era qualcosa… Qualcosa che parlava di una sofferenza profonda, pervasiva, quasi impossibile da immaginare. La ragazza afferrò il borsellino. «Grazie», le disse l’uomo in un sussurro, come se fosse lui, il bisognoso. «Shiva», disse lei. «Mi chiamo Shiva». Negli occhi dell’uomo passò un lampo di incredulità, e i suoi lineamenti duri parvero addolcirsi. «Ma certo». Le rivolse un inchino profondo portandosi le dita alla fronte. Confusa, la ragazza ricambiò il gesto di cortesia. Quando sollevò di nuovo lo sguardo, l’uomo aveva svoltato l’angolo. Ed era scomparso nell’oscurità sempre più fitta della notte.

Sia io che Alex abbiamo amato "La Moglie del Califfo" e ne consigliamo la lettura a tutti voi.
Presto sul blog la recensione del secondo capitolo di questa saga, che sicuramente non ci deluderà!

Non perdetevi le prossime tappe :)

A presto,


Pam - Il Cibo della Mente

5 commenti

  1. Sono al terzo capitolo e lo adoro. Penso che sia uno dei migliori retelling che ci siano.

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  2. Lo ammetto, commento questo post senza averlo letto. Ma la mia non è pigrizia eh... solo che devo ancora finire il primo e se mi leggo l'incipit del secondo ho paura di rovinarmi l'idea che mi son fatta del finale.

    Anche se non amo Shahrzad per il momento, il romanzo mi sta tenendo incollata alle pagine in un modo che mai avrei pensato.

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  3. L'ho finito da due giorni e già mi mancano tutti! :'(

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